GIM-18843 ABBADIA SAN SALVATORE | Italia | Www.amiata-in-vetrina.com
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La cittadina visse periodi storici temporali di grande prestigio per il potere esercitato in vasti territori del versante orientale e occidentale dell’Amiata dall’abbazia del San Salvatore, dapprima benedettina e successivamente cistercense.

L’abbazia fu in perenne lotta con le casate degli Aldobrandeschi di Santa Fiora e gli Orsini, famiglia principesca e papale della aristocrazia romana e italiana, in particolare quando le due famiglie avevano rapporti conflittuali con il Papato.

Il monastero fu fondato nella seconda metà dell’VIII secolo  per volere del re longobardo Rachis. Leggenda vuole che tale decisione fu maturata in seguito ad un evento miracoloso del quale fu protagonista il re in persona, al quale apparve la Trinità sulla sommità di un albero intorno al quale fu edificata la cripta.

In realtà la costruzione del monastero fu ideata e seguita dal longobardo Erfo. La sua edificazione si inquadrava in un preciso disegno politico di Rachis, che seppe avvalersi del favore monastico del nobile Erfo a beneficio della nazione longobarda, ottenendo, con la fondazione di un monastero sulle pendici del monte Amiata il duplice scopo di protezione e controllo dei traffici lungo la strategica via Francigena e di sviluppo agricolo di quell'area della Tuscia longobarda.

Già nel 750 Erfo, figlio di Pietro Duca del Friuli, assegnò al monastero fortificato il controllo feudale dei territori amiatini che comprendevano i pascoli del monte Amiata fino alla valle del fiume Paglia. Il potere territoriale dell'abbazia crebbe nei secoli successivi e in concomitanza si sviluppò l'antistante borgo, che fu subito fortificato e dotato di una cinta muraria difensiva. All'inizio del X secolo i suoi possessi travalicavano la zona dell'Amiata, espandendosi in direzione laziale, in val d'Orcia, in val di Chiana e persino nel Viterbese. In tale periodo di prosperità  il borgo e le terre del San Salvatore rimasero strettamente legate all'autorità del Sacro Romano Imperatore tedesco, godendo comunque di autonomia completa sul piano civile, penale e religioso.

In una petizione del 1081, indirizzata all'Imperatore Enrico IV, i monaci del San Salvatore accusarono la dinastia dei Conti Aldobrandeschi (del ramo di Santa Fiora) di far costruire centri fortificati sopra terreni e villaggi del feudo badengo allo scopo di usurparne il legittimo dominio all'abbazia.

A seguito di tale disputa gli Aldobrandeschi  riuscirono ad  appropriarsi di numerose terre dei monaci. Il potere dell'abbazia fu ulteriormente ridotto a partire dal XII secolo dagli stessi abitanti del borgo del San Salvatore che rivendicarono per loro l'autonomia dal monastero; l'abate Rolando fu forzato a cedere al borgo numerosi terreni e diritti, tra cui quello di eleggere i propri rappresentanti compreso il podestà.

 Fu in questo periodo che fu edificata una seconda cinta muraria attorno al borgo in espansione ed edificata la struttura difensiva detta "Torrione".

Nel 1228 papa Gregorio IX decise di riassegnare il monastero all'ordine dei Cistercensi, con intento di risollevarlo dal declino. Tuttavia nel 1265 le terre del San Salvatore vennero occupate dall'emergente Repubblica di Siena, costringendo abbazia e comunità badenga a firmare un atto formale di sottomissione.  Siena, però, non mantenne il controllo militare del territorio, che di fatto cominciò a divenire area di brigantaggio e rifugio di fuorilegge, ultimo dei quali il famoso Ghino di Tacco.

Tutto questo decretò  il declino definitivo della via Francigena nella valle del Paglia e nel 1278 gli insediamenti presenti nella zona furono abbandonati e gli abitanti trasferiti nel capoluogo fortificato del San Salvatore.

Fu in questi anni che Abbadia San Salvatore si espanse nuovamente lungo la direttrice di "Via Pinelli" nell'area chiamata oggi "Borgo" anch'essa presto protetta da una estensione delle mura cittadine, assumendo l'assetto urbano definitivo che in larga misura manterrà fino al XIX secolo. Agli inizi del Trecento fu invece Orvieto a ottenere la facile sottomissione dei territori badenghi, che però caddero rapidamente in mano aldobrandesca a seguito della crisi del comune di Orvieto che di lì a poco fu espugnato dal cardinale Egidio Albornoz. Di nuovo nel 1347 vi fu l'annessione definitiva alla Repubblica di Siena e ciò pose definitivamente fine alla sovranità del borgo del San Salvatore.

Dall'annessione alla Repubblica di Siena e poi al Granducato di Toscana e fino al XVII secolo il borgo rimase praticamente immutato e isolato, riscoprendosi molto povero, sostenendosi con un'economia stagnante basata sullo sfruttamento del legname, sul piccolo artigianato del legno, sulla scarsa pastorizia e agricoltura.

Una profonda novità si ebbe solo tra il 1782 e 1784, quando il Granduca di Toscana Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, allo scopo di rilanciare l'economia, soppresse il monastero e decretò la privatizzazione dei terreni dell'abbazia, seguendo la visione del Giurisdizionalismo in base alla quale il monastero era valutato come una entità socialmente inutile ed economicamente disinteressata allo sviluppo economico delle proprie terre, che furono acquistate dai capifamiglia del paese costituitisi nella società "Macchia Faggeta". Agli inizi del XVIII secolo Abbadia San Salvatore vide una lieve espansione economica, urbanistica e sociale, con la nascita di realtà culturali come la Filarmonica G. Puccini (metà del XVIII secolo). Vi furono anche dei moti risorgimentali che in un'occasione costrinsero il Gonfaloniere granducale alla fuga. Nel 1860 vi fu l'annessione del comune al Regno d'Italia attraverso un plebiscito in cui i favorevoli raggiunsero il 100% dei voti e il 100% dell'affluenza. Nel 1867 il Regno d'Italia sottrasse al comune gran parte del suo territorio e gli storici borghi di Campiglia, Bagni di San Filippo e Caselle, che vennero aggregati al comune di Castiglione d'Orcia.

Una drastica svolta si ebbe solo agli inizi del XX quando cominciò in tutta l'area lo sfruttamento minerario del cinabro e della raffinazione dello stesso in mercurio. Abbadia San Salvatore divenne rapidamente un ricco centro minerario e industriale, vedendo un repentino miglioramento della qualità della vita degli abitanti che a partire dal 1900 disponevano già di energia elettrica, telefono, servizio idrico. Viene costruito un nuovo municipio (1909), urbanizzate altre aree, costruiti monumenti, fontane, realizzati nuovi servizi come l'ospedale. Durante il fascismo Abbadia San Salvatore continuò a prosperare, furono costruite le strade di raccordo con la vetta del monte Amiata, gli impianti sportivi, lo stadio e ulteriori espansioni urbane. Fu in questo periodo che furono reinsediati i monaci nell'abbazia, esattamente nel 1939.

In seguito all'attentato a Togliatti, avvenuto il 14 luglio 1948 ad Abbadia San Salvatore si verificarono manifestazioni e rivolte che videro coinvolti soprattutto i minatori, che interruppero le comunicazioni telefoniche tra nord e sud. Gli scontri portarono alla morte di un carabiniere e un poliziotto. La successiva repressione attuata dalle forze dell'ordine fu durissima e avvenne mediante l'intervento di polizia ed esercito. Negli anni settanta le miniere dell'Amiata videro un declino a causa della concorrenza internazionale, e infine la società mineraria (che all'epoca occupava la maggioranza della popolazione) chiuse i battenti ponendo fine alla parentesi industriale di Abbadia San Salvatore, che da allora vide un lento decremento demografico.

A partire dagli anni ottanta del XX secolo le istituzioni hanno riconvertito l'economia del paese che oggi si fonda principalmente sul turismo, sia invernale che estivo.

 

Lo stemma di Abbadia San Salvatore.

 

 

 

 

 

 

LUOGHI DI CULTO 

 

 

ABBAZIA DI SAN SALVATORE

 

 

E’ l'edificio sacro che dà il nome al paese.

Il complesso benedettino, attestato dal 762, sarebbe stato voluto e commissionato dal duca longobardo Ratchis.

L'abbazia visse il periodo di maggiore splendore dal X al XII secolo; nel 1782 fu soppressa e la chiesa ridotta a parrocchiale.

La chiesa, risalente al 1035, presenta una facciata a capanna alta e stretta, affiancata da due torrioni, quello di destra incompiuto e l’altro merlato.  Negli anni trenta del novecento ha subito diversi restauri che le hanno dato l’aspetto attuale. L'interno, a croce latina, conserva un Crocifisso ligneo policromato della fine del XII secolo, la Leggenda del duca Ratchis (1652-1653) e il Martirio di San Bartolomeo (1694), entrambi di Francesco Nasini.

La cripta è caratterizzata dalla presenza di trentadue colonnine con capitelli, ognuno decorato con un motivo diverso come sono diverse tra loro anche le colonne.

L'abbazia ha ospitato per quasi mille anni il Codex Amiatinus.

 

 

CHIESA DELLA MADONNA DEL CASTAGNO

 

 

Il suo nome deriva dal rinvenimento nel luogo di una  immagine della Madonna, dipinta su una tegola, attaccata ad un castagno. Consacrata nel 1524, presenta un’architettura tipicamente rinascimentale con prospetto a capanna con oculo, affiancato da due lesene sulle quali si appoggia una cornice marcapiano.

Il portale con timpano triangolare introduce ad un'aula rettangolare coperta a capriate e ornata con altari in stucco.

All’interno, ed in particolare nel settecentesco altare maggiore, si conservano l'immagine della Madonna col Bambino ed affreschi con il Martirio di Santa Caterina d'Alessandria e la Natività, della prima metà del XVI secolo. Nel lato sinistro, una Crocifissione di scuola senese della metà del Cinquecento.

 

 

 

CHIESA DELLA MADONNA DEI REMEDI

 

 

Fu costruita nel 1602 sulle macerie di un tabernacolo distrutto nel 1561.

L'arco della facciata era parte di un portico, chiuso ai primi del Novecento.

Al suo interno si trovano affreschi di Francesco e Giuseppe Nicola Nasini: nella cappella di destra sono rappresentate le Sante Cecilia e Barbara, Agnese, Margherita; in quella di sinistra, Sant'Agata, Santa Lucia, Miracoli di Sant'Antonio da Padova. 

Sulla volta, la Gloria del Santo.

 L'altare maggiore conserva al centro una Madonna col Bambino del primo Cinquecento. Sulle pareti è affrescato  da Giuseppe Nicola Nasini  l'Angelo annunciante e la Vergine annunciata. Nella parte centrale si riconoscono i Santi Pietro e Sebastiano, Paolo e Rocco, Michele e Raffaele, Francesco e Marco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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